Suicidi Militari e Forze di Polizia: il ruolo della Selezione con il dott. Vincenzo Castaldo, già Ufficiale Psicologo Selettore Militare e fondatore di Invictus Concorsi.
Suicidi Militari e Forze di Polizia: il ruolo della Selezione – Introduzione
E’ un terreno freddo e scivoloso, quello su cui ci stiamo muovendo. Il suicidio, come tanti altri eventi a forte impatto emotivo, polarizza, colpisce, inquieta.
E, ognuno di noi, di fronte all’inquietudine, reagisce nei modi più disparati.
C’è chi prova tristezza e rassegnazione, chi paura e chi si arrabbia e incolpa l’egoismo / “debolezza” della vittima, la tirannia dei superiori e/o l’indifferenza dei colleghi e/o delle istituzioni.
Ma tra i commenti di rabbia per questo tipo di notizia, si ritrova puntualmente anche chi inveisce contro gli psicologi e i test psicoattitudinali.
Suicidi che, secondo costoro, sarebbero la prova evidente della fallacia dell’intero sistema di selezione psicoattitudinale militare e di polizia.
Alla luce di queste premesse, si è deciso di affrontare il tema dalla prospettiva selettiva. Eludendo del tutto, non essendo questa la sede più opportuna, la questione da un punto di vista clinico, politico e organizzativo.
Più nello specifico, si cercherà di rispondere a due domande:
- E’ possibile individuare candidati a rischio suicidario durante gli accertamenti attitudinali militari e di polizia?
- Se un militare o un agente delle forze dell’ordine, ad un certo punto della sua carriera, decide di suicidarsi, è possibile attribuire una qualche responsabilità anche alla selezione del personale?
Come funziona la Selezione Psicoattitudinale Militare e di Polizia?
Come già ampiamente illustrato in un precedente articolo, la selezione psicoattitudinale operata nei concorsi militari e di polizia ha come obiettivo la selezione dei candidati ritenuti più adatti a ricoprire un certo ruolo a concorso.
Per arrivare a questa decisione, si sottopongono tutti gli aspiranti a diverse prove psicoattitudinali:
- Test Psicoattitudinali
- Colloqui Psicoattitudinali
- Assessment Center
- Tirocinio
Sono prove, fatta forse eccezione per i VFI, estenuanti, lunghe e complesse.
Inoltre, sono operate da diversi professionisti (Psicologo, Psichiatra e/o Perito Selettore), nonché da una Commissione, in genere, composta da 3 o 4 membri.
Insomma, prima che un candidato sia valutato idoneo, ne passano di strumenti psicodiagnostici e di “sguardi” attenti e scrupolosi.
A questo punto la domanda sorge spontanea: se la selezione è così scrupolosa, com’è possibile che avvengano troppi (sono sempre troppi) suicidi di militari e forze di polizia?
Suicidi Militari e Forze di Polizia: il ruolo della Selezione – Quando è “colpa” della Selezione?
Innanzitutto, chiariamo che il titolo è assolutamente provocatorio. Quando una persona commette suicidio, a meno che non si ipotizzi un reato di agevolazione o di istigazione al suicidio a carico di altri soggetti, non possiamo incolpare nessuno.
Possiamo, invece, parlare di responsabilità.
Dunque, quando possiamo ritenere responsabile la selezione?
Si ritiene che una responsabilità del genere potrebbe ravvisarsi solo nella mancata individuazione di un acclarato rischio suicidario.
Ma si tratta di un evenienza, occorre sottolinearlo, alquanto improbabile. Perché nessuno ammetterebbe chiaramente l’intenzione di suicidarsi durante un concorso militare o di polizia. Sarebbe, quantomeno, un modo inusuale di chiedere aiuto.
Suicidi Militari e Forze di Polizia – Fattori di Rischio
Al più, potrebbero ravvisarsi degli indicatori, ovvero dei fattori di rischio che, più o meno “alla lontana” potrebbero “forse” predisporre la persona a porre in essere una condotta suicidaria. In particolare, i fattori di rischio più frequentemente ravvisabili in fase di selezione potrebbero essere:
- Impulsività;
- Umore deflesso (soprattutto se associato ad impotenza appresa);
- Storia familiare di suicidio;
- Intrapunitività;
- Traumi;
- Isolamento sociale;
- Bassa autostima (soprattutto se associata a sentimenti di vergogna);
- Difficoltà economiche.
Ovviamente in letteratura esistono altri fattori di rischio e ben più rilevanti dei precedenti (età avanzata, dolore cronico, disturbi mentali, uso/abuso di alcol e di sostanze psicotrope, precedenti tentativi di suicidio, ecc.), ma tutte queste circostanze sono pre-filtrate, in parte, dai requisiti di accesso (l’età avanzata) e, in buona parte, dagli accertamenti per l’idoneità psicofisica. Infatti, in questa fase concorsuale sono previsti diversi esami di controllo (abuso di sostanze), nonché un dettagliato certificato anamnestico dove viene riportata tutta la storia clinica del candidato.
Inoltre, altra doverosa precisazione, anche quando presenti tali condizioni, occorre ribadire che si tratta solo di fattori di rischio e non già, di per sé, indicatori certi di suicidio.
Ad ogni modo, sono tutte evenienze cliniche in grado di far scattare una red flag anche nei selettori meno avveduti. Parliamo, infatti, di non idoneità praticamente certe.
Poi, ovviamente, errori e pregiudizi, sono sempre dietro l’angolo. Siamo pur sempre umani e fallibili per definizione.
Ma al netto della possibilità di sbagliare, sulla scorta della personale e diretta esperienza sul campo, siamo certi che si tratta di evenienze più uniche che rare.
Insomma, iniziamo col dire che i “filtri” della selezione ci sono e funzionano.
Suicidi Militari e Forze di Polizia: il ruolo della Selezione – Sarebbe possibile rilevarlo scientificamente?
Per affermare in modo scientifico se gli accertamenti attitudinali funzionano o meno, dovremmo costituire un gruppo di controllo non selezionato secondo tali criteri e poi confrontare il tasso di suicidi commessi in questo gruppo con quello del gruppo sottoposto ad accertamenti.
Tuttavia, per ovvie ragioni etiche e deontologiche, uno studio scientifico di tale portata non si potrebbe mai predisporre. Inoltre, sorgerebbero ulteriori criticità a livello metodologico, come il numero delle possibili variabili intervenienti e la longitudinalità dello studio (che dovrebbe coprire, perlomeno, tutto l’arco di vita professionale).
Né possiamo confrontare a livello epidemiologico i dati sui suicidi militari e delle forze di polizia nei periodi precedenti all’adozione di tali pratiche selettive con gli anni successivi a tale introduzione. Perché interverrebbe un’importante variabile distorcente: confronteremmo i suicidi commessi, in buona parte, dai militari di leva (cioè obbligati a prestare servizio) con il tasso di suicidi di militari professionisti.
Non potendo dunque, per il momento, contare su studi validati scientificamente in tal senso, ci possiamo fondare soltanto sul semplice buonsenso. Che non è scienza, ma logica.
E la logica è la seguente: si ritiene che sia sempre meglio operare una selezione psicoattitudinale, che non operarla affatto.
Suicidi Militari e Forze di Polizia: il ruolo della Selezione – Ma allora di chi è la responsabilità?
Partiamo da una verità: quanto alla selezione, fatto salvo le eccezioni di cui sopra (rischio suicidario, impulsività e depressione acclarate e non intercettate), spesso non ha alcuna responsabilità in tal senso.
Perché nel corso di una carriera e di una vita, possono, ahinoi, intervenire tanti eventi in grado di scalfire anche l’animo più resiliente di questo mondo.
Inoltre, i fattori di rischio sono tanti e, in genere, non concorre mai uno soltanto di essi a determinare questo triste gesto estremo. O, ancora, una persona potrebbe presentare fattori di rischio per un periodo limitato di tempo e poi ritrovarsi ad un certo punto totalmente “fuori pericolo”. Quella del rischio suicidario, infatti, non è un “marchio a vita” come molti pensano.
Si pensi, per citare un recente fatto di cronaca, al Gen. Graziano. Chi ha avuto il piacere e l’onore di conoscerlo e di viverlo come Comandante, potrà testimoniare che, al mondo, sarebbe stata l’ultima persona immaginata come suicida.
Tutto ciò per dire che la selezione non può prevenire il suicidio tout court, men che ancora prevederlo a lungo termine.
Anche quando fondata scientificamente e operata con i migliori test e selettori che si possano concepire, in fondo, è sempre una scommessa, per quanto riguarda il futuro. Mentre, al tempo presente, può essere utile, al più, per intercettare quelle situazioni che “potenzialmente” potrebbero correlare positivamente con il rischio suicidario.
Sarebbe, invece, molto più proficuo parlare di prevenzione multifattoriale. Ma è un discorso troppo vasto e complesso per essere affrontato in questa sede.
Suicidi Militari e Forze di Polizia – Fattori di Protezione
Il tema dei suicidi militari e delle forze di polizia, dunque, non dovrebbe essere imputato in particolar modo alla selezione. E’ un tema troppo complesso e multifattoriale e andrebbe osservato e analizzato durante tutto il ciclo di impiego militare e di polizia. Considerazioni che per tema e complessità, esulano dagli intenti di questo contributo.
Certo, la selezione rappresenta il punto di ingresso della vita militare e di polizia e, come tale, va curata e tesa al miglioramento costante per definizione.
Si pensi, in tal senso, all’introduzione dei tirocini. Periodi di selezione sul campo volti proprio ad affinare l’efficienza selettiva operata con gli accertamenti attitudinali. Tirocini che potrebbero sicuramente essere potenziati ed estesi a tutte le categorie di concorso (molti concorsi, al momento, non lo prevedono).
Ma, al netto di ogni possibile e sacrosanta miglioria metodologica, ci sarebbe un’ulteriore riflessione che forse andrebbe posta in chiave selettiva. E non riguarda il metodo, quanto i valori su cui la selezione si fonda.
Per operare tale riflessione dobbiamo, però, capovolgere per un momento la prospettiva. Anziché concentrarci sul funzionamento del “filtro selettivo” atto ad evitare i “fattori di rischio”, dovremmo chiederci, piuttosto, come ricercare maggiormente i “fattori di protezione”.
Altrimenti detto: come potrebbe contribuire la selezione psicoattitudinale a selezionare i candidati più resilienti?
La ricerca della Resilienza
La resilienza è definita come la capacità di una persona di affrontare e superare le avversità.
In chiave operativa, andrebbero ricercate le seguenti caratteristiche:
- Ottimismo
- Autostima
- Autoefficacia
- Locus of control interno
- Flessibilità cognitiva
- Tolleranza alla frustrazione
- Competenze emotive (autocontrollo, empatia)
- Competenze relazionali
Fino a questo punto, tutto molto semplice. Si tratta solo di operazionalizzare i concetti di cui sopra in “stimoli” e risposte attese dai candidati. Azione che hanno compiuto da tempo tutte le forze armate e di polizia.
Ma c’è un problema. Almeno, in questa sede si rileva un possibile problema di fondo. Non di metodo, ma valoriale. Ovvero, che riguarda la “cornice” di senso in cui tale ricerca e selezione, abbiamo detto, avviene già.
A ben leggere le caratteristiche di cui sopra, infatti, la resilienza sembrerebbe un concetto alquanto lontano da ciò che tipicamente viene espresso (e forse ricercato?) dalle forze armate e forze dell’ordine.
La sensazione, partendo dalla retorica organizzativa militare e di polizia, nonché dalla recente decisione di alcune forze armate di tornare a pratiche selettive pseudo-monarchiche (stress interview), è che queste risultino ancora troppo affascinate e permeate da espressioni di forza e di coraggio intese in senso machista, duro, maschile. Mentre la resilienza è “morbida” per definizione.
Da ciò un timore: siamo certi che nell’effettiva declinazione valutativa delle caratteristiche di cui sopra non entrino in gioco i suddetti valori? Determinando, per questa via, una “sintesi” decisionale eccessivamente “militaresca”?
Volendo esasperare quest’ottica, infatti, potremmo “indurire” molte delle caratteristiche di cui sopra:
- Ottimismo = Sprezzo del pericolo
- Autostima = Arroganza
- Autoefficacia = Saccenza
- Locus of control interno = Individualismo
- Flessibilità cognitiva = Macchiavellismo
- Tolleranza alla frustrazione = Resistenza, “Tenere botta” (difficoltà a riconoscere/accettare i propri limiti)
- Competenze emotive (autocontrollo, empatia) = Durezza, “Freddezza”
- Competenze relazionali = Dominanza
Ai colleghi in servizio, le opportune riflessioni…
Conclusioni
In conclusione, al momento attuale, almeno per quanto si è potuto apprendere, non è possibile affermare con validità scientifica se la selezione psicoattitudinale operata in ambito militare e di polizia contribuisca in qualche modo alla prevenzione dei suicidi.
Affidandosi, tuttavia, alla logica e al buonsenso, ci si sente di affermare che, pur non potendo “distillare” con certezza tale contributo, è sempre meglio adottare un filtro che eliminarlo tout court.
Si è poi cercato di offrire una prospettiva alternativa a quella classicamente fondata sulle imperfezioni e infermità da scongiurare, per prestare maggiormente attenzione al concetto di resilienza.
Tuttavia, si è voluto far notare che il concetto di resilienza potrebbe far fatica a trovare piena cittadinanza nelle organizzazioni militari e di polizia, a nostro giudizio, intrise ancora fortemente di valori machisti.
Per questo, prima di qualsivoglia intervento, si auspica una vigorosa virata valoriale e di conseguenza operativa verso concezioni di buon soldato/poliziotto più aderenti ad una concezione di autentica resilienza.
Senza un preliminare rinnovamento culturale, infatti, si ritiene che qualsiasi iniziativa (analisi di clima, osservatori, sportelli di supporto, valutazioni psicologiche periodiche), per quanto nobile ed efficace, sarà destinata al fallimento per paura dello stigma e di altre possibili conseguenze organizzative.
Ciò detto, è bene ribadire che, per quanto raffinate ed efficaci saranno le adozioni intraprese a livello selettivo, non sarà mai possibile esaurire la conoscenza del mondo interiore altrui in così poco tempo.
Perché il suicidio, spesso, avviene in tempi molto lontani dalla fase selettiva e sarebbe alquanto improbabile (per non dire impossibile) riuscire a prevedere, al tempo presente, eventi così lontani nel tempo.
Piuttosto, questo compito di monitoraggio e promozione del benessere, come sopra già accennato, dovrebbe competere alle Forze Armate e Forze dell’Ordine durante tutto l’arco di impiego del personale.
Se ti senti in grave difficoltà o sei a conoscenza di una persona a rischio suicidario, chiama il 112.